martedì 20 settembre 2011

Come mai gli insegnanti sono passati dall'essere una categoria rispettata e ritenuta importante per la società a essere considerati quasi inutili o, addirittura dei parassiti?
E' stato a causa della campagna calunniatoria di Brunetta e Gelmini, o costoro hanno solo cavalcato con furbizia e perseguendo i propri fini (che non sono nè il bene dello Stato, nè il miglioramento della scuola, com'è ormai chiaro) uno stato d'animo già diffuso?
Una di loro, con la lettera che pubblichiamo, dà parole al disagio e alla rabbia che provano in molti.

Parlo della crisi con un conoscente che fa l’ operaio. E’ arrabbiato perché alla moglie, operaia pure lei, toccherà andare in pensione a 65 anni. Solidarizzo con lui, commentando che noi lavoratori dipendenti pagheremo, come al solito, gran parte del conto previsto dalla manovra del Governo.

Mi guarda ostile - Voi dipendenti pubblici siete dei privilegiati, è colpa vostra se l’Italia è messa così!

ed enumera - posto sicuro, niente licenziamenti, un sacco di scansafatiche che fanno sonnellini negli uffici… e vogliamo parlare di voi maestre, poi, con tre mesi di vacanze estive?

Tento di spiegargli che negli ultimi anni siamo stati penalizzati pesantemente dal punto di vista economico e contrattuale, ma non sente ragioni: è assolutamente convinto di ciò che afferma e d’altronde “l’hanno detto anche in televisione che la spesa pubblica va tagliata e gli statali sono troppi”.

Torno a casa sentendomi infastidita e a disagio. Poi penso che questa volta non riesco, e non voglio, lasciar correre: quest’ultima goccia nel vaso proprio non ci sta!

Ebbene sì, sono una dipendente statale, una maestra. Il mio è un compito delicato, importante, di grande responsabilità, che io svolgo con passione e, dicono, competenza.

E’ un lavoro faticoso, spesso stressante: una classe di 25 alunni vivaci da ascoltare, capire, accompagnare nel loro percorso è impegnativa, giorno dopo giorno. Tra di loro, negli anni, alunni difficili con famiglie difficili per i quali ho cercato di esserci anche oltre il mio ruolo.

Il mio orario di lavoro è di 24 ore settimanali di lezione, ma in questo monte ore non si conteggiano la preparazione delle lezioni, la correzione dei compiti, le riunioni, gli incarichi da svolgere, i corsi di aggiornamento, i colloqui con le famiglie… Dopo 25 anni di insegnamento, il mio stipendio arriva a 1.500 euro mensili.

E’ un lavoro garantito, il nostro, conquistato però dopo anni di precariato, passato a far supplenze in giro per la provincia. Del fatto di avere un lavoro “sicuro” dovrei vergognarmi, quasi fosse una colpa.

Non mi sento né una nullafacente, né una privilegiata. Pago le tasse fino all’ultimo centesimo, non possiedo auto di lusso, né case di proprietà.

Negli ultimi due anni ho largamente contribuito al risanamento economico del mio Paese:

il mio stipendio di insegnante è bloccato dal 2009, anno in cui è scaduto il nostro contratto nazionale, e tale resterà fino al 2013 (se non addirittura, come sembra profilarsi, fino al 2017); gli scatti di anzianità, unico meccanismo di progressione della nostra carriera di docenti, sono stati congelati fino al 2014.

Come dipendente pubblica arriverò alla mia pensione a 65 anni. Se per caso andassi in pensione di anzianità e non di vecchiaia non riceverò il mio TFR prima di aver atteso due anni.

Naturalmente pagherò come tutti anche l’aumento dell’ iva, subirò il taglio delle detrazioni fiscali e delle agevolazioni assistenziali, previsto dalla manovra, così come avrò a mio carico il probabile aumento dell’ irpef regionale e comunale.

Vorrei far capire al mio conoscente, e ai tanti che come lui non rispettano il mio lavoro, che il problema dell’Italia non è la maestra o l’infermiere o il poliziotto o il ferroviere o la guardia forestale o il netturbino o tutti gli altri lavoratori statali che come loro, per il blocco del turn over e i tagli alle risorse, accumulano straordinari non pagati e turni insostenibili, garantendo come possono i servizi ai cittadini.

E naturalmente il problema non sono neppure gli operai. Perchè prendersela con chi rema accanto a te sulla stessa barca?

Il problema sono tutti quelli che non fanno la loro parte, evadendo le tasse e facendo mancare il loro contributo al funzionamento della società.

Prendiamocela con loro, che prendono il sole in coperta e in più non pagano neppure il passaggio!

Paola Pozza